Ci sono date che segnano un “prima” e un “dopo”. Freddi numeri a prima vista, ma veri e propri spartiacque della storia. E se nel primo episodio di “Sulle orme del futuro” abbiamo parlato del 1831 nelle prospettive di Pietro Bosca e Charles Darwin, in questo secondo appuntamento la macchina del tempo è impostata sul 1929. Una data epocale nella storiografia contemporanea, anche per Bosca. Ecco perché…
Anni ‘20 del Novecento. Un periodo piuttosto turbolento anche negli evoluti Stati Uniti d’America, che sperimentano una crescente instabilità.
Il proibizionismo regna sovrano e gli speakeasy sono gli unici angoli di innocente evasione per una società che sembra sempre più chiusa su sé stessa.
Quel che non si sa è che il peggio deve ancora venire. E si manifesta in un ordinario giovedì di ottobre, non a caso ribattezzato poi “nero” dagli storici.
Giovedì 24 ottobre 1929. Il giorno in cui gli indici azionari di Wall Street crollano in modo inesorabile, trascinandosi dietro l’intera economia americana e innescando quella Grande Depressione che condizionerà non poco gli anni a venire.
Nel frattempo, dall’altra parte dell’Atlantico, un uomo si trova di fronte a una sfida epocale.
Folti baffi scuri a manubrio, completo impeccabile, portamento curato. Lo vediamo così, nelle istantanee in bianco e nero del tempo.
È il secondogenito di (ben) nove figli. Un uomo schivo, riservato, ma caparbiamente risoluto.
E quelli come lui, si sa, non amano le luci della ribalta. In gergo giornalistico verrebbe definito “l’uomo di macchina”, il tecnico che dietro le quinte rende possibile il funzionamento quotidiano di un’azienda.
Siamo a Canelli, l’azienda è Bosca e quell’uomo si chiama Giuseppe.
Il papà Luigi, noto alle cronache come ‘Il vivandiere degli emigranti’, è scomparso da poco, mentre le sedi aziendali di famiglia a Buenos Aires e New York richiedono attenzione proprio in uno dei momenti più complessi per l’economia vinicola mondiale.
Giuseppe, però, è un abile timoniere per mari tempestosi e non arretra neanche di fronte alle sfide imprenditoriali a dir poco titaniche che si trova suo malgrado ad affrontare.
Del resto aveva prestato servizio come alpino durante la Grande Guerra e aveva anche saputo gestire il grave problema dell’invasione della Fillossera, che aveva obbligato al reimpianto dei vigneti piemontesi.
Così, da uomo saldo e pragmatico qual è, non si scompone.
Con poche parole e decisioni coraggiose, conduce l’azienda fuori dalla crisi aprendo anche una finestra sul futuro.
Come prima cosa chiude la succursale di New York. Poi, vende la filiale di Buenos Aires.
E nel 1932, con grande lungimiranza, offre all’azienda di famiglia una nuova prospettiva.
Insieme a Calissano, Martini & Rossi, Cinzano, Gancia, Contratto e Beccaro, partecipa alla costituzione del Consorzio per la Tutela dell’Asti di cui ancora oggi Bosca fa parte.
Prossimo ai sessant’anni, giunge alla decisione più difficile. Con una soluzione pacifica e negoziata, Giuseppe si fa da parte e dà all’azienda una direzione sicura, lasciandola nelle mani del figlio Luigi II, suo unico erede e quarta generazione Bosca.
Sarà lui ad assumersi gli oneri e gli onori del rilancio.
E a guardare indietro oggi, a distanza di quasi cent’anni, Giuseppe aveva avuto ragione.
Una volta di più.