Questa è una storia davvero particolare.
È vecchia di oltre duecento anni; eppure, ancora oggi, è incredibilmente attuale.
È chic – perché nel tempo è stata resa celebre da famiglie reali, scrittori altisonanti e persone dal nobile lignaggio – e, allo stesso tempo, super popolare. Come un garzone di bottega. O come una piola, il classico bar-osteria piemontese. È in lingua italiana, ma anche in dialetto. E “parla” tedesco, francese e inglese anche.
Questa storia ha un titolo: Vermut. E già questo, con le sue diverse declinazioni (Wermut in tedesco, Vermouth in grafia francese, Vèrmot in quella piemontese), racconta molto.
L’origine
Siamo alla fine del diciottesimo secolo, a Torino.
Da Canelli, arrivano nel capoluogo grandi quantità di prelibata uva moscato autoctona e, direttamente dal porto di Genova, numerose spezie d’origine internazionale. È allora che un giovane ragazzo, garzone in una liquoreria del centro, ha l’intuizione di elaborare un vino moscato aromatizzato, reso particolarmente delicato dall’infusione di erbe e fiori.
Lo chiama Vermut – italianizzando il nome tedesco dell’artemisia maggiore (Wermut) – e ne fa arrivare una cassa a Palazzo Reale. Il re Vittorio Amedeo III di Savoia lo assaggia e lo approva, rendendolo così una bevanda ambitissima in città. Talmente tanto che la liquoreria diventa un bar, aperto 24 ore su 24 per soddisfare l’inarrestabile sete di chi vuole il nuovo, prelibatissimo nettare.
Non male come inizio, no? Anche il seguito non è da meno. E consacrerà il Vermouth di Torino a protagonista indiscusso (ed eterno) del palcoscenico mondiale dei cocktail.
Gli episodi chiave
A cavallo tra il diciannovesimo e il ventesimo secolo, in un imprecisato bar lombardo qualcuno unisce il Vermut al Bitter. E dà vita al Torino-Milano, il cocktail destinato a diventare, di lì a poco, uno degli aperitivi più bevuti al mondo.
Le cronache degli anni a seguire, infatti, raccontano come molti turisti d’oltreoceano, in visita nel Belpaese, amino bere nei bar delle principali piazze nostrane il Torino-Milano chiedendo però una piccola aggiunta di seltz. Sembra un vezzo. Non lo è, perché nasce un altro mito: l’aperitivo Americano.
La storia non finisce qui. Si allarga e sempre più si impreziosisce di gustosi aneddoti che la rendono leggenda. Ne riportiamo uno dei più celebri: a cavallo tra le due guerre mondiali, lo scrittore statunitense Hemingway – noto, oltreché per la grande penna, anche per la vorace passione per i bar e i drink di tutto il mondo – cita nel suo romanzo Addio alle Armi una bottiglia di Vermut piemontese. È un vero e proprio atto di amore, ma anche un chiarissimo indicatore di come, all’epoca, il nostro avesse una grandissima diffusione internazionale.
Per un ultimo episodio, però, torniamo in Italia. Anni ’20 del Novecento, Firenze. Il conte Camillo Negroni è solito frequentare l’aristocratico Caffè Casoni in via de’ Tornabuoni. Assiduo viaggiatore con spiccata passione per il Regno Unito, il conte inizia a chiedere al barman del Casoni il suo abituale aperitivo Americano, ma con una piccola variazione sul tema: al posto del seltz, un britannico gin. È nato “l’Americano alla moda del conte Negroni”. Esatto, proprio lui: l’attuale Negroni.
Il presente
Nel tempo, per quanto divenuto noto in tutto il mondo, il Vermut (con la sua originale ricetta) è rimasto esclusivo appannaggio del Made in Italy. Oggi, infatti, il Vermouth di Torino è regolamentato da un severo disciplinare di produzione che prevede l’utilizzo di sole uve italiane e di specifiche varietà di spezie, aromi, fiori ed erbe tra cui: melissa, camomilla, angelica, china, cannella, timo, zafferano, alloro e sambuco. Inoltre, a seconda del grado zuccherino e del relativo tenore alcolico, è possibile realizzare tre tipologie di vermut: Extra Secco o Extra Dry (meno di 30 grammi di zucchero per litro) Secco o Dry (meno di 50 g/l) e Dolce (130 o più g/l). I suoi colori? Bianco, Ambrato, Rosato o Rosso.
A pensarci, in fondo, quanta strada ha fatto il Vermouth di Torino? Molta, moltissima. Andando a impreziosire i banconi di tanti bar e a creare alcuni tra i più famosi e longevi cocktail di sempre. Fra tutti, noi vi forniamo la ricetta del nostro preferito. Quello che, fra i molti, parla più di tutti il piemontese: il Negroni Sbagliato.
Prendete un tumbler basso e mettete abbondante ghiaccio. Poi, rispettando le proporzioni, versate 3 cl di Asti DOCG Secco Esploro, 3 cl di Rosso Vermouth di Torino e 3 cl di bitter. Guarnite con scorza di arancia e assaggiate. Adesso, forse, il concetto di leggenda è ancora più chiaro.