Amore, cultura vitivinicola e destino. È con questo intreccio che “Il profumo del mosto selvatico”, uscito nelle sale nel 1995, ha conquistato pubblici di ogni genere. Una scelta quasi obbligata, quindi, per il sesto episodio della nostra rubrica “Film diVini – Storie di calici e pellicole”.
Può un buon vino esaltare la percezione di un buon film così come avviene per il cibo, raccontando storie di persone, territori e culture?
È la domanda che si pone la nostra rubrica “Film diVini”, giunta con questo episodio alla sua conclusione.
Eh sì, tutte le belle avventure hanno una fine, ma restate con noi: abbiamo già in serbo nuove sorprese che vi conquisteranno presto!
Tornando alla rubrica, invece, è innegabile come certi film riescano a fissarsi nella memoria grazie alla loro atmosfera, alla fotografia calda e avvolgente e alla capacità di raccontare storie universali.
“Il profumo del mosto selvatico” (titolo originale: “A Walk in the Clouds”), uscito nel 1995 per la regia di Alfonso Arau, appartiene a questa categoria.
È un film che, con i suoi toni delicati e sognanti, racconta la potenza dell’amore, dei legami e della capacità di guardare al futuro ridimensionando le difficoltà del presente.
Keanu Reeves interpreta Paul Sutton, un giovane soldato reduce dalla Seconda Guerra Mondiale, che torna a casa solo per scoprire che la sua vita non è più la stessa.
In viaggio per ricostruire il proprio futuro, incontra Victoria Aragon (Aitana Sánchez-Gijón), una giovane donna incinta e disperata, che teme la reazione del severo padre proprietario di un’importante tenuta vinicola californiana.
Per aiutarla, Paul accetta di fingersi suo marito, ma l’inganno si trasforma ben presto in un’esperienza di crescita, scoperta e sentimenti inaspettati.
Da qualsiasi punto di vista lo si guardi, “Il profumo del mosto selvatico” colpisce dritto all’anima. E lo fa grazie alla sua delicatezza e ai suoi paesaggi mozzafiato, cristallizzati da una fotografia e una colonna sonora straordinarie.
È la scelta ideale per chi ama le storie d’amore classiche, ma anche per chi apprezza il mondo del vino come metafora della vita: pazienza, attesa, lavoro… e gioia per i frutti raccolti.
Il suo ritmo rilassato e avvolgente lo rende perfetto per una serata all’insegna della dolcezza e della riflessione.
E per accompagnare un film così suggestivo, vi consigliamo uno spumante che celebra il tempo e la raffinatezza: Gran Cattedrale, un Metodo Classico che affina almeno 30 mesi in un luogo altrettanto suggestivo, le Cattedrali Sotterranee Bosca di Canelli.
Proprio come la storia narrata nella pellicola, questo vino è un inno all’eleganza, un’ode alla pazienza e alla dedizione necessarie a creare un’opera straordinaria.
Le sue bollicine fini e persistenti e il suo bouquet complesso, in cui si intrecciano note di agrumi, frutta secca e crosta di pane, rappresentano alla perfezione l’armonia tra radici profonde e nuove opportunità.
E se sorseggiandolo, durante la visione del film, vi sembrerà di sentire il suono del remuage del nostro cantiniere e di percepire il profumo dei vigneti baciati dal sole, non vi preoccupate. Significa che questo Metodo Classico ha raggiunto il suo scopo.
TIP! Provatelo con dei Ravioli del Plin della tradizione piemontese. Questa volta, però, friggeteli e mangiateli rigorosamente con le mani direttamente dal vostro divano 😉 Prosit!